Ognuno ha gli occhi che ha… 27 Novembre 2009 – Posted in: splinder – Tags: jonas
Forse meglio dire 17 anni 2 mesi e 18 giorni, i restanti 12 li passai a vaganbondare per i prati mentre il bastardo mi inseguiva come un accalappiacani.
Ma io, però, al posto della rabbia e della schiuma dalla bocca ho solo la pazzia.
Bella cosa, eh?
Uno nasce e di colpo, un giorno, gli dicono una cosa.
E questa cosa gli si incolla addosso, senza mai staccarsi.
Perchè è così che è andata.
Il figlio dei Wilson mi disse che ero pazzo, un giorno.
Forse lo fece per scherzo, stavamo giocando al dottore ed io avevo sentito per strada che c’era una casa di matti nel paese vicino.
Allora feci il pazzo.
I pazzi, per quanto ne sapevo, dicevano cose buffe.
Ed io iniziai a dirne alcune.
Chissà cosa successe al padre di quel cretino che giocava con me.
Paura, forse.
Intanto disse a tutti che ero un pazzo.
Crisi di pazzia di qua, crisi di pazzia di là… chiamate un dottore, traforategli la testa, un prete per il demonio.
Quante ne ho viste, ma non ho mai provato risentimento.
Tutti abbiamo paura di ciò che ci è sconosciuto.
Ed Ognuno ha gli occhi che ha.
Non dimenticherò mai questa frase.
Lavoravo in una locanda giù al porto, avevo solo 16 anni.
Mi facevano pulire il pavimento e, di tanto in tanto, mi mandavano a prendere i piatti sporchi dai tavoli.
Ma capitava poche volte.
Solo le donne potevano portare i piatti, la mancia a me che sono maschio non la davan di certo.
Ero piccolo e tutti mi davano a parlare.
Ero l’ultima ruota del carro e chi per divertirsi, chi per vantarsi, non stavo un minuto senza che qualcuno mi dicesse qualcosa.
Tra tutti, ce n’era uno in particolare che non dimenticherò mai.
Tra il pianista, il barista, la cassiera, le mille cameriere e le puttane, al piano di sopra, non dimenticherò mai il lavapiatti.
Lui me lo disse: Ognuno ha gli occhi che ha.
E così sembra una cosa semplice, ma bisogna pensarci bene sopra per capirla fino in fondo questa frase.
Ognuno ha gli occhi che ha.
Lui lavava i piatti e vedeva tutto con gli occhi del suo lavoro.
Roba che a spiegarla con paroloni ci vuole un anno intero.
Ma alla fine è semplice.
Lui lavava i piatti sporchi, li strofinava tutto il girono, e questi diventavano puliti.
Pensava che la vita non fosse tanto diversa dal suo lavoro.
Insomma, c’è sempre qualcuno che sporca e qualcuno che lava.
A volte chi sporca lava.
E se lava lo fa subito, poco dopo, dopo giorni.
Ma spesso, fin troppo, c’è chi sporca e non lava… e chi per sporcare deve lavare.
Era strano il lavapiatti.
Era strano per davvero.
Ma, devo ammetterlo, la sapeva lunga sullo sporco.
Vicino alla locanda, in una delle tante notti di rissa, un uomo venne ucciso.
Poco male, quasi ogni sera qualcuno ci lasciava le penne giù al porto.
Lo sapevano tutti che bisognava stre buoni.
Ma per Nolan non era così.
Lui lavava i piatti, e la vedeva in un altro modo.
"Quell’uomo, quello che è morto stanotte insomma, io so perchè è morto."
"Nolan ma noi a quell’ora stavi ancora lavorando, come hai potuto…"
"Io l’ho visto quell’uomo. Era sporco, Jonas. Sporco."
Le persone sono un pò come i piatti e la sporcizia che c’è sopra.
C’è chi è di porcellana e chi è grasso di carne.
Chi è un graffio che non andrà più via e chi è il sapone che si sacrifica pur di lavare il piatto.
Siamo lo schifo e siamo il bello, mai chi lo maneggia.
Quell’uomo, mi disse, era sporco.
Chissà cosa diamine aveva fatto, quello, ma lui lo vide in quei piatti luridi.
Lui lo vide.
Lo vide mentre spaccava le nocche contro un vetro.
Lo vide scappare dopo aver rubato qualcosa.
Ed essere inseguito, a lungo, per poi essere preso.
Era brodo di fagioli su un piatto che doveva rimanere pulito.
Con l’acqua va via man mano, giocano ad inseguirsi.
Poi, ad un punto, non c’è più spazio e sarà costretto a cadere.
Tutto, parte dopo parte.
E così lo uccisero, quelli.
Un braccio, una gamba.
Un pugno e l’altra gamba.
Un calcio e l’altro braccio.
Logica da assasino ma anche da lavapiatti.
Logida di chi lo sporco, ogni giorno, cerca di toglierlo in tutti i modi.