L’abito giusto 12 Gennaio 2010 – Posted in: splinder – Tags:

 

Per tutte le bambole rotte e difettose.

 

Costance sapeva di non essere normale.
Sin da quando era bambina le ripetevano che sentire quelle voci
non era una cosa buona.
Si era addirittura sforzata di non sentirle, di ignorarle.
Ovviamente senza riuscirci.”

Forse usciresti ancora con un uomo, se somigliasse almeno la metà a quello dei tuoi sogni.
Frigida.
Lesbica.

Quante ne hai sentite?
Combatti contro la morale.
Combatti contro le voci.
Disperatamente sola devi rinnegare persino la tua anima.
Questo mondo è davvero ingiusto, non trovi?

 

Come un’ape che vola di fiore in fiore pur di avere un pò di polline così tu cambi luoghi, case e persone, pur di trovare un motivo per non cedere.
Un motivo per continuare.
Ma intanto ti dai alla routine.
Ogni giorno ti svegli alla stessa ora.

6:30, la sveglia suona.
”Svegliati Costance, amore mio.”

 

E tu apri gli occhi, cercando di ignorare quella voce mattutina.
Cerchi di non parlarle, ti alzi e corri in bagno.
Ti chiudi dentro.

“Chiudi le porte al tuo amato senza motivo.
Di cosa hai vergogna, ingenua Costance?
Sono solo una voce, non ti posso spiare.”

 

Guardi per qualche secondo i tuoi abiti nell’armadio.
Un tengo impiegavi molto più tempo.
E’ il tempo che ti insegna.
Ogni giorno scegli cosa indossare.
Chi essere.
Cosa fare.

 

Ogni santo giorno con meticolosa pazienza decidi su quale appendiabito allungare la mano.
Sfili il vestito mentre mordi il labbro inferiore, inspiri portandolo al petto.
Ne senti l’odore.

“Anche l’odore è importante, cara?”

 

Chiudi appena gli occhi, tu non vuoi sentire quella voce.
Ma c’è.
Non è colpa tua.

Sei bellissima, lo sai?”

 

 

 

La voce continua a parlare ma lei non ascolta,
ha indossato il vestito e con questo è sepolta.
La voce parla ma lei non ci bada,
sta molto attenta che più non accada.
Si è vestita di nuovo sentendosi normale,
buttando la pazzia e il suo volto usuale.
Si chiama Costance e sente le voci,
si cambia ogni giorno, sa che siamo feroci.

« Addio.
Solo, ancora una volta »