Di come l’Arte diventi caos. 22 Ottobre 2010 – Posted in: Leandro.

C'erano state giornate soleggiate ed anche piovose, c'era stata la tempesta e l'arcobaleno.
Lo scirocco e la bassa marea, le nuvole e il ciel sereno.
Era tutto abbastanza normale in quel mondo nel mondo, in quella cornice che era anche un pò mia.
La condividevamo.
Avevamo, ognuno ne aveva uno, un pezzo di vita da dedicare solo a quel contesto.
Esclusivo.
Nostro, familiare.

Poi di colpo tra i colori della tela qualcuno decise di inserirne altri, di nuovi, diversi dall'idea che l'artista aveva quando ci dipinse tutti.
E i magi di quel presepe si perseno uno dopo l'altro, senza indizi in quel natalizio sfondo di famiglia ormai senza cometa.
E così fù che noi tutti iniziammo a vagheggiare tra i dipinti più strani, cercando la scena fatta per noi.
Un ruolo tutto nostro in cui ritornare ad essere arte.
Come biasimarci?
Tutti vogliamo tornare ai tempi in cui stavamo bene, e così facemmo.

Passai per l'isola della solitudine vivendo come eremita.
Solcai onde su navi scuola chiamate amore cercando una risposta tra vele cucite minuziosamente con mani che toccavamo ogni notte la mia pelle.
Scelsi poi la lontananza per combattere le urla delle pennellate aggiunte al mio primo dipinto, la mia casa ormai deturpata.
Insomma, di inventiva della fuga ne sono sempre stato pieno.

Dalla vita ho capito molte cose e molte ne dovrò capire.
Ho delle colpe e ne comprendo l'entità.
Ho lasciato che stuprassero i miei ricordi ed il mio cuore.
Ho lasciato che mi prendessero i pensieri e decidessero per me.
Ho lasciato le urla echeggiare tra i monti della mia solitudine per anni.
Ma forse il mio sbaglio più grande è stato lasciar scegliere ad altri i colori della mia vera ed unica tela.
Quella da cui son nato.
Quella di cui andavo fiero, sentendomi arte… quadro d'autore.

Ho delle colpe e ne prendo atto.
Se fossi una macchina avrei molte rotelle inceppate, qualcuna più grossa e altre piccine.
Se fossi il riparatore di me stesso inizierei dalle più piccine e periferiche per poi passare al problema serio, sicuro di conoscerne il progetto ed il funzionamento.

Ma di questa macchina e di queste rotture ne so molto quanto poco.
Ho mille fogli di schemi.
Disegni di rondelle e ganci, catene e motori a scoppio.
Ho mille fogli ma non li guardo.
Impegnato come sono a rubare il salario alla vita, fingendo di lavorare per davvero ad un progetto enorme e intricato che non voglio risolvere per davvero.

Mi piace vedermi così, astuto ladro che frega il grande impero di doveri.
Ma quale ladro è più folle di me se l'unico furto che fa è il furto di felicità a se stesso?
Io rubo vita a me stesso, rubo l'amore e la gioia, i sorrisi e gli abbracci.
Mi derubo perchè così soltanto riesco ad andare avanti.

Chissà se mi vedessi per quel che sono, un disertone in fuga dalla propria patria.
In fuga dalla propria guerra.
Ho abbandonato la mia postazione, non ho difeso la mia terra e i miei affetti.
Ho lasciato ai nemici qualcosa ed ora, lontano da tutto e tutti, penso a cosa ne sarà e a cosa sarebbe stato.
Il mio sangue sarebbe valsa la libertà del mio regno?
La mia vita avrebbe contato?
Il mio impegno avrebbe cambiato qualcosa?

Questo non posso saperlo di certo ma una cosa è certa, avrebbe cambiato me.
In un modo o nell'altro mi avrebbe cambiato e, di sicuro, non sarei stato un disertore in fuga.

Ho impiegato molto tempo per capire davvero questa frase, forse nemmeno l'avrò capita.
Lo scrittore è il mio preferito… l'oggetto è la mia guerra.

"Puoi spendere anni a vivere, ore a leggere libri, milioni a farti allenare dallo psicanalista: ma alla fine la palla è in rete che finisce. L'errore annulla qualsiasi passato nell'istante in cui arriva a bruciarti qualsiasi futuro. L'errore azzera il tempo, qualsiasi tempo. Vedi cosa riesce a spiegarti, il tennis, senza dare nell'occhio: che quando sbagli, nel preciso istante in cui lo fai, sei eterno."

A. Baricco

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